Una cassaforte di sicurezza per figli e anziani. Il welfare aziendale è un investimento in benessere per tutti

Welfare - Rimborsi
Mentre un Ddl quadro propone nuovi benefici per le imprese e i dipendenti, sono sempre di più le Pmi attive sul fronte del welfare aziendale. Merito della capacità di interpretare i bisogni dei propri collaboratori per farli stare bene e aumentare la competitività. Nostro viaggio alla scoperta delle cose da sapere per scegliere. Prima tappa: i servizi a rimborso. Perché le scadenze (economiche) sono già in calendario.

Welfare aziendale, qualcosa si muove ancora. Dopo le spinte impresse dalle manovre finanziarie varate dal 2016 in poi, è stavolta un Ddl quadro sul lavoro recentemente approdato in Parlamento a rimettere al centro dell’attenzione del legislatore un tema caldissimo per incrementare la produttività, il benessere aziendale e il benessere territoriale. Ma anche per imprimere una spallata alla dolente nota del cuneo fiscale sempre altissimo nelle buste paga dei dipendenti.

Un segnale importante che prova a rispondere con provvedimenti normativi a una richiesta sempre crescente di welfare aziendale. Stando al Welfare Index Pmi 2019, di fatti, sono passate dal 25,5% del 2016 al 45,9% del 2019 le aziende fortemente impegnate su più fronti del welfare, e nella media nazionale ben figurano micro (dal 6,8 al 12,2%), piccole (dall’11 al 24,8%) e medie imprese (da 20,8 a 45,3%).

Stando a quanto s’apprende, nelle carte depositate in Parlamento ci sarebbero la proposta di un aumento da tremila a cinquemila euro dell’importo dei premi di risultato soggetti a detassazione e il dimezzamento dell’imposta sostitutiva, che si ridurrebbe dal 10 al 5%. A seguire interventi a sostegno dell’occupazione femminile e della conciliazione tra vita e lavoro.

PERDERE UNA OPPORTUNITÀ CONVIENE
Certo è che il fermento delle aule romane certifica un dato di fatto: il welfare non è più “cosa per pochi” e, soprattutto, senza welfare l’azienda rischia di perdere l’opportunità di fare un investimento su sé stessa, sul proprio business e, soprattutto, sul proprio capitale umano.

Tutti gli studi di sociologia del lavoro, su questo punto, concordano: chi riesce ad ascoltare i propri dipendenti, a rispondere nel modo giusto ai loro bisogni ed eventualmente a prevenirli con azioni di welfare riescono a generare un circuito virtuoso che porta alla fidelizzazione, all’aumento dell’attrattività nei confronti dei migliori professionisti, alla riduzione della conflittualità interna e all’aumento della qualità e della quantità del lavoro.

Sempre più competitive anche sotto il profilo del ben-essere interno, dunque, le imprese che fanno del welfare aziendale un proprio punto di forza (vedi sempre la ricerca Welfare Index Pmi), partono da quattro principi fondamentali: la consapevolezza di avere un ruolo sociale forte nei confronti dei propri dipendenti, specie in un momento di arretramento sostanziale del welfare state (welfare statale); una visione strategica di lungo periodo che porta a pianificare non tanto il punto di partenza, quanto il punto d’arrivo, condividendolo con i propri collaboratori; la definizione di obiettivi specifici da raggiungere; risultati che incoraggiano ad andare avanti.

Dunque, come pensare ad un buon welfare aziendale? Proviamo, in tre tappe, a entrare in un mondo fatto di salute, servizi per il tempo libero, sostegno alle attività familiari, incremento del potere di acquisto finale.

IL WELFARE PERFETTO È QUELLO SU MISURA
Premessa: non esiste il welfare aziendale perfetto, il welfare aziendale più adatto è quello che meglio sa rispondere ai bisogni dei dipendenti di ciascuna singola azienda. E poiché le piccole e medie imprese, a fronte di un numero di collaboratori contenuto, riescono a generare legami profondi tra imprenditori e dipendenti, ecco che il primo step può dirsi già compiuto attraverso una grande capacità di ascolto.

L’altro pilastro sul quale poggiare la scelta del tipo di welfare aziendale è la comodità di accesso ai servizi offerti, la capacità di interpretare il territorio e quella di comprendere che ogni periodo dell’anno ha i suoi bisogni.

E qui entrano in gioco quelli che si chiamano “servizi a rimborso”, determinanti per affrontare per tempo le scadenze che già sono segnate sui calendari di tanti genitori e di tanti adulti impegnati nell’assistenza degli anziani. Partiamo da mamme e papà: a ridosso dell’estate, iniziano ad affacciarsi i pensieri delle rette scolastiche, delle tasse universitarie, dei libri di testo, degli asili nido. Tutte spese cui si dovrà far fronte al rientro dalle ferie ma da pianificare economicamente con attenzione sin d’ora, anche per affrontare il riposo estivo con maggiore serenità.

E che dire dell’imminente fine della scuola? Chiuse le aule, si apriranno le stagioni dei campus estivi, delle vacanze studio all’estero e delle baby sitter alle quali affidare i più piccoli. Ci sono infine le badanti per i genitori anziani.

UNA CASSAFORTE CHE DÀ OSSIGENO AI BILANCI
I servizi a rimborso sono una cassaforte di certezze: si sa che ci sono risorse alle quali attingere come rimborso spese per ciascuna delle voci sopra menzionate
. Ossigeno per i bilanci ma anche per la serenità familiare, al pari dei rimborsi che possono essere erogati in presenza di spese per le badanti da affiancare a genitori anziani.

Un pensiero in meno in famiglia è un pensiero in più da rivolgere all’attività lavorativa, allo svago e allo star bene. Tutti elementi che contribuiscono a iniettare benzina di altissima qualità nelle aziende welfare-friendly. Un esempio per tutti: secondo una analisi condotta per Il Sole 24 Ore del Lunedì da Domina (associazione nazionale di famiglie datori di lavoro domestico), in collaborazione con la Fondazione Leone Moressa, con la sola pensione il 52,9 per cento degli anziani può permettersi l’assistenza di un lavoratore domestico per sole cinque ore alla settimana. Il 17,8 può pagare un aiuto per 25 ore e appena il 9,5 per cento può assumere una badante convivente.

Come dire: il benessere è nella cassaforte del welfare aziendale (1. continua).


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