Le parole giuste da usare con i giovani: meno “da capo” e più da punto di riferimento

Lavorare con i giovani

Quale linguaggio dovrebbero usare l’imprenditore o il manager per trasferire loro la mission aziendale ai giovani talenti? Come coinvolgere, e in un certo senso arrivare a “fidelizzare”, i dipendenti in azienda nell’era delle dimissioni di massa o, comunque, del job hopping? Domande che, forse, una volta, erano in fondo all’agenda delle priorità, ma che oggi, senza la famosa fila di potenziali candidati a essere assunti, devono assolutamente scalare la classifica.

Per affrontare al meglio la comunicazione tra il leader aziendale e i collaboratori giovani tra cui, genericamente, c’è almeno una generazione di differenza, abbiamo chiesto alcuni suggerimenti a Claudio Catalano, psicologo del lavoro, che da oltre quindici anni si occupa di aiutare le persone e le aziende a vivere meglio il tempo dedicato al lavoro, focalizzandosi su come aiutare le aziende a risolvere i frequenti problemi legati alla gestione delle risorse umane, e al loro sviluppo.

Cosa ne è emerso? Per tenersi stretti i giovani più validi bisogna innanzitutto renderli consapevoli della loro importanza. Ci sono, però, anche collaboratori che apparentemente spiccano meno ma, se stimolati, possono diventare molto bravi: queste persone hanno, per esempio, bisogno di una maggiore vicinanza psicologica, il che necessita uno sforzo di trasformazione dell’imprenditore da capo aziendale a punto di riferimento a cui appoggiarsi e ispirarsi. Insomma, tutto ruota attorno alla leadership e a come la si esercita.

Lavorare con i giovani

Innanzitutto, quindi, all’interno dell’azienda l’imprenditore o, in generale, chi rappresenta una guida, dovrebbe esprimersi con passione, in modo convinto e con energia, affinché ci si possa identificare. Soprattutto i giovani, infatti, hanno bisogno di essere coinvolti, motivati e non pensare di essere soltanto una parte di un grande meccanismo.

Un esempio: «In un’azienda metalmeccanica che produce macchinari per la farmaceutica, dove ho svolto una consulenza – racconta Catalano – non si era mai parlato e men che meno era stata fatta una riflessione sulla mission e sulla vision aziendale. Eppure, lì non si producono soltanto macchinari ma, tramite essi, si aiutano i bambini nelle terapie intensive medicali a sopravvivere e a guarire. Su questo si deve assolutamente insistere coi collaboratori, rendendoli consapevoli di essere protagonisti, con il loro lavoro e con le macchine prodotte, nella sopravvivenza di tanti bambini. Ciò stimola, accende i cuori e non solo le braccia dei lavoratori».

Ecco quindi, sulla scia di queste premesse, i sette suggerimenti dello psicologo del lavoro per trasferire la mission aziendale ai giovani:

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    Lavorare con i giovani

    DEFINIZIONE DEL PIANO DI CRESCITA: ai colloqui ormai è il lavoratore che dice “Le farò sapere”. Insomma, è chi cerca lavoro che stabilisce se quell’azienda fa al suo caso o no. Quindi, a partire dai colloqui, l’azienda deve essere pronta a spiegare cosa fa e qual è il suo piano di crescita, svincolandosi dalla mera logica dello stipendio.

  • CONCRETEZZA: bisogna mostrare ai giovani dove possono arrivare. Per esempio si possono far dialogare con i senior presenti in azienda, che spiegheranno loro come potranno raggiungere in futuro quella tal posizione. Basta con le informazioni vaghe, trite e ritrite come: “Siamo una’azienda leader”.
  • ASCOLTO: svolgere colloqui regolari per capire interessi, personalità, aspettative, ansie e problemi e poi cosa li stimola e li valorizza perché ognuno ha leve motivazionali diverse. Il leader in azienda deve essere un punto di riferimento: magari non risolve i problemi personali, ma deve dimostrare vicinanza ed empatia.
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    Lavorare con i giovani

    VALORIZZARE: talvolta i lavoratori percepiscono di compiere un lavoro che possono fare anche altri. Quindi è importante dare loro dei feedback e ricordare quanto è apprezzato ciò che viene svolto.

  • COERENZA: non è possibile essere cordiali, affabili e cortesi con i clienti esterni e poi cambiare atteggiamento con i collaboratori. Le persone lo vedono e non è un bene.
  • FAR CRESCERE: è opportuno investire in formazione, con piani di sviluppo e con lo strumento del coaching. Non servono centinaia di ore, ma anche semplici incontri mirati con un professionista che si occupa di sviluppo professionale e umano
  • FLESSIBILITA’: molti giovani sono disposti a farsi anche 45 minuti in auto per lavorare in un ambiente piacevole, stimolante, con una sana leadership e anche dove scherzare, piuttosto che rimanere tre giorni in smart, avendo così solo dei confronti superficiali con il capo e i colleghi. Morale: bene lo smart, ma andrebbe ridimensionato a favore di sforzi volti ad avere un clima positivo in azienda. Nicola Antonello