Elio e Antonio, una vita tra le 35mila scarpe made in Vigevano che girano il mondo

Interpretare, e talvolta anche accettare, le richieste del mercato per mantenere stabile un’attività che affonda le proprie radici nel dopoguerra. Vigevano ha legato il suo nome alla scarpa, e tra i protagonisti ancora oggi pienamente attivi c’è il Calzaturificio Rognoni, gestito dai fratelli Elio e Antonio, rispettivamente 62 e 64 anni, che guidano una realtà fondata nel 1949 dal padre Lino: «Iniziò in una sorta di cantina in viale Petrarca – raccontano oggi i due titolari – in seguito, con l’espansione economica, e vedendo che il prodotto funzionava, costruì una piccola fabbrica in via Grazia Deledda, vi lavorava una dozzina di persone. Quindi ci si sposto nell’attuale ubicazione, in via Buccella». Nel tempo il capannone è stato ampliato: «Siamo arrivati in questa sede attorno al 1965, e si toccarono i 35 dipendenti»

LINO ROGNONI, GUIDA PER GLI ARTIGIANI
Lino Rognoni era un personaggio molto conosciuto in città: fu per 25 anni presidente di Confartigianato, e venne eletto nel 1972 dopo la scomparsa di Pierino Fo. Era un periodo non facile, quello, per il settore, con un vistoso calo nel decennio precedente delle attività produttive. Fu così che Rognoni, nel suo discorso di insediamento lanciò un messaggio chiaro: «A Vigevano ci sono circa duemila artigiani: è necessario che tutti, nessuno escluso, sentano la necessità di iscriversi alla nostra Associazione».

LA DECISIONE DI DIVENTARE TERZISTI
«Di fatto – proseguono Elio e Antonio Rognoni – siamo nati in questo calzaturificio, ci siamo cresciuti e qui chiuderemo il nostro percorso lavorativo. Con il passare dei decenni, per ovvie ragioni, abbiamo dovuto fare delle scelte. Ci siamo trovati a dover affrontare marchi che potevano vantare una grande rete commerciale e un’organizzazione pubblicitaria importante. Così abbiamo deciso di diventare terzisti puri, attualmente lavoriamo in maniera pressoché esclusiva per un cliente che opera solamente sul mercato estero. Chiaramente ci sono dei rischi, se il tuo cliente ha dei problemi sei il primo a risentirne. Ma ultimamente non ci possiamo lamentare. Dal nostro capannone escono ogni anno circa 35mila paia di scarpe da uomo». Non mancano le curiosità, che confermano il valore del calzaturificio: «I famosi scarponi Police 883 li abbiamo prodotti noi. E tra le varie esperienze vissute negli anni, abbiamo lavorato per un’importante realtà dell’occhialeria, la Oakley, attiva anche nel settore sportivo. Ci trovammo a realizzare le scarpe del pilota di Formula 1 Montoya. Fummo semplici esecutori materiali, ne realizzammo poche paia, poi utilizzate per un paio di Gran Premi».

RICAMBIO GENERAZIONALE? I PIU’ BRAVI SE NE VANNO
«Oggi abbiamo sei dipendenti, e noi stessi lavoriamo quotidianamente». Sul fronte del ricambio generazionale, i titolari raccontano: «In tre anni abbiamo assunto e, si passi il termine, “allevato” quattro persone, di cui tre particolarmente giovani. Ragazzi che partivano da zero, in quanto arrivavano da settori completamente diversi. Hanno sempre dimostrato voglia e impegno, ma due di loro una volta divenuti bravi in questo lavoro… se ne sono andati». Puntando quindi a sfruttare in altro modo le competenze acquisite: «Purtroppo c’è anche questo problema, il rischiare di crescere un giovane che poi ti abbandona per andare altrove. Innegabilmente, vista la dimensione del nostro calzaturificio, se viene a mancare improvvisamente un dipendente su sei perdiamo una discreta percentuale di manodopera». Guardare al domani rappresenta quindi, e si tratta sul territorio di un tema comune, una sfida di non facile interpretazione. Un tema del quale, impossibile negarlo, si continuerà a parlare.