Comunità energetiche rinnovabili: condividere conviene anche alle aziende

Comunità energetiche rinnovabili: condividere conviene anche alle aziende
 
Comunità energetiche rinnovabili (Cer)

Rispondere agli obiettivi europei di decarbonizzazione e favorire la transizione energetica per combattere la crisi climatica. Ma anche risparmiare sui costi dell’energia, sfruttando al massimo le possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dalle iniziative governative. Queste oggi le sfide a cui sono chiamate le imprese, per mantenersi attive e competitive sul mercato. 

«Per le imprese, concretizzare la transizione energetica è importante poiché la dipendenza dalle fonti non rinnovabili rappresenta un elemento di incertezza per il futuro: – sottolinea Unioncamere in una nota – la volatilità dei prezzi dei combustibili fossili e la pressione per il raggiungimento del carbon neutrality entro il 2050, sono solo due dei principali aspetti che possono incidere sulle strategie a lungo termine delle imprese e dei loro costi aziendali».

Una necessità che, se non interpretata soltanto come una serie di obblighi e ammonizioni imposte dall’alto, può trasformarsi per le aziende nell’opportunità di diventare più innovative.

COSA SONO LE CER E LA NORAMTIVA

Comunità energetiche rinnovabili (Cer)

Una possibilità offerta, ad esempio, dall’entrata in scena delle comunità energetiche rinnovabili (Cer) che, seguendo i dettami della sharing economy, ambiscono a favorire la condivisione di energia autoprodotta da diversi soggetti.

Punto di partenza per la loro costituzione è dato dalla direttiva europea 2018/2001, detta anche RED II (Renewable Energy Directive II) che, tra le varie norme in materia di sostenibilità energetica,  prevede il sostegno finanziario alla produzione e l’autoconsumo di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Nel nostro Paese è il decreto legislativo 162/19, cosidetto “milleproroghe” (convertito con la legge n. 8/2020), ad introdurre le Cer intese come soggetto giuridico tra cittadini, attività commerciali, imprese (la cui partecipazione non costituisca l’attività commerciale e/o industriale principale), enti territoriali ed autorità locali, che decidono di unirsi per produrre e condividere energia proveniente da impianti alimentati grazie a fonti rinnovabili. I vari membri devono essere situati nel territorio degli stessi Comuni in cui sono ubicati gli impianti di produzione detenuti dalla comunità energetica. In particolare, nell’articolo 42bis, è consentita la realizzazione di Cer con impianti di  potenza inferiore ai 200 kW, entrati in esercizio dopo il 1 marzo 2020.

Con il DL n. 199/2021 si arriva, invece, a recepire definitivamente la direttiva UE 2018/2001, attraverso la definizione di strumenti e incentivi nonché del quadro istituzionale, finanziario e giuridico per le Cer.

NEL CUORE DELLE CER

Comunità energetiche rinnovabili (Cer)

Ma in pratica su quale meccanismo si fonda il loro funzionamento? Ne ha ragionato con “Imprese e Territorio” il professor Sergio Olivero, responsabile Business & Finance Innovation dell’Energy Center del Politecnico di Torino: «Il modello italiano di Cer si basa sulla condivisione virtuale all’interno della rete, per cui nominalmente c’è uno scambio di energia fra i soci della comunità energetica, come se questi fossero collegati fra loro. Grazie a questo scambio virtuale – chiarisce il professore – le comunità energetiche permettono di ridurre la dipendenza dalla rete di distribuzione nazionale, in particolare se un’impresa riesce a condividere l’energia in eccesso rispetto ai bisogni di autoconsumo fisico, che viene così messa virtualmente a disposizione di altre aziende all’interno della stessa cabina di alta tensione in un’area geografica».

Allora su quali tipologie di impianti conviene investire in primis per avviare questo percorso? «Le comunità energetiche si basano sulla direttiva RED II recepita in Italia dal DL 199/2021 – spiega Olivero -. La direttiva RED II stabilisce che si possono creare comunità energetiche con tutte le fonti rinnovabili. Le principali sono il fotovoltaico, l’idroelettrico, l’eolico»

Un’iniziativa virtuosa che, per esprimere al meglio le sue grandi potenzialità, ha bisogno di puntare a una diffusione capillare sul territorio. In Italia, secondo l’ultima relazione trimestrale su “Energia e clima in Italia” del GSE (Gestore Servizi Energetici), negli ultimi due anni si è assistito ad un aumento delle Cer in esercizio, con 21 configurazioni all’attivo.

«Quanto più ci sono comunità energetiche, tanto più si usa prevalentemente energia rinnovabile sostenibile: man mano che si sviluppano e si diffondono le Cer si consumerà sempre meno energia prodotta da fonti fossili, perché il grosso dell’energia sarà locale, prodotta in prospettiva, anche accumulata», sottolinea il docente.

VANTAGGI E INCENTIVI PER LE IMPRESE

Comunità energetiche rinnovabili (Cer)

Quali, in concreto, i vantaggi per le imprese? «Mettiamoci dal punto di vista della PMI o della piccola impresa: il primo passo che va a compiere è quello di aumentare l’autoconsumo fisico. Ad esempio, un’azienda decide di installare un impianto fotovoltaico sul tetto del suo capannone e calcola che, per soddisfare i propri consumi, necessita di un impianto da 300 kW. Così facendo va a massimizzare l’autoconsumo fisico, cioè va ad usare la stessa energia che produce. La filosofia della comunità energetica va oltre: “Installo un impianto da 500 kW e, anche se me ne bastano 300, ne realizzo 200 di più”. Questo surplus di energia la nostra azienda lo mette a disposizione delle altre realtà all’interno della Cer. Quindi quell’energia viene pagata dal GSE e in più l’impresa può ottenere una quota degli incentivi se riesce a farla consumare contestualmente da un’altra in prossimità. In pratica le fonti di risparmio per un’azienda si sviluppano su tre fronti: va a ridurre la bolletta aumentando l’autoconsumo fisico; vende alla rete l’energia che non consuma (energia immessa in rete e consumata da qualcun altro); prende una quota dell’incentivo», illustra Olivero.

Infatti, come conferma GSE, l’energia elettrica “condivisa” (pari al minimo, su base oraria, tra l’energia elettrica immessa in rete dagli impianti di produzione e l’energia elettrica prelevata dai consumatori che rilevano per la configurazione) beneficia di un contributo economico a seguito dell’accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione, seguendo quanto stabilito dalle “Regole tecniche per l’accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione dell’energia elettrica condivisa”  dello stesso GSE.

«Conviene sempre entrare in una comunità energetica – ribadisce il professore – perché gli impianti che un’azienda installa renderanno sempre di più, tanto di più quanto la comunità energetica è progettata bene. Chiaro allora che è fondamentale saper fare i conti e aggregare una serie di aziende con comuni finalità ambientali e sociali. Come Energy Center del Politecnico di Torino stiamo già lavorando con le piccole e medie imprese e con le associazioni datoriali per valorizzare le opportunità offerte dalla comunità energetica».

E proprio l’Energy Center del Politecnico di Torino, assieme a Fondazione Links e Consorzio Univer, fornisce supporto tecnico-scientifico al progetto CerTo, promosso dalla Camera di Commercio di Torino, con l’obiettivo di definire un modello sperimentale di costituzione e gestione di Cer. Giovanna Lodato