Contratto tra Pmi e Governo: «Norme e politiche a misura di chi paga le tasse e non delocalizza»

d1cab4af-3959-4788-bd89-5ed9bfead935Il futuro non sta nella quantità o nella dimensione di impresa. Il futuro è nella qualità, nella personalizzazione dei prodotti, nella qualificazione della formazione – anche tecnica e professionale – e in norme pensate a misura del più potente e diffuso tessuto imprenditoriale nazionale: quello costituito dal 99,4% di Pmi che compongono il nucleo produttivo tricolore.

Il presidente nazionale di Confartigianato Imprese, Giorgio Merletti, ha tirato fuori gli artigli di fronte ai vicepremier del Governo Conte, Matteo Salvini e Luigi Di Mario.

Proponendo la totale revisione della fin troppo recente logica dell’industria-centrismo governativo e tirando fuori un contratto in sette punti a integrazione di quello che regge le fondamenta del neonato governo giallo-verde.

UN CONTRATTO IN SETTE PUNTI
Sette punti, «semplici e concreti», per «modificare subito una normativa sugli appalti che non permette alle piccole e medie imprese di toccare palla»; dare il via libera al decreto tariffe inail; chiedere al Governo di «mettere mano subito al pasticciaccio brutto del Sistri e far partire il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti». E, ancora, «garantire una reale tutela del made in Italy senza confonderlo con la sola tutela del sistema agroalimentare»; «mettere alla prova la volontà degli Stati membri dell’Ue nell’arrivare alla tassazione omogenea dei giganti del web in tutti i Paesi del Continente»; «ridurre gli oneri che gravano sulla bolletta dell’energia a carico delle piccole imprese» e, per l’appunto, tenere come riferimento le piccole imprese per tutti i provvedimenti normativi futuri del Governo.

Ultimo ma, in realtà, decisivo punto di un rinnovato patto tra uno Stato e le imprese che restano, quelle che non hanno incassato finanziamenti e poi fatto la valigia per delocalizzare investimenti e sviluppo.

Tira bordate, Giorgio Merletti, con lo sguardo dritto sui due ministri e su un recente passato che non ha soddisfatto quelle piccole Pmi che «negli anni della crisi hanno saputo reggere e garantire ricchezza al Paese, specialmente dopo la fine per molti versi poco gloriosa di grandi industrie che oggi sono l’ombra di ciò che erano 40 anni fa». Una presa d’atto nella consapevolezza «che il nostro modello produttivo ha bisogno di più grandi imprese ma non di meno piccole imprese, come dicono certi fanfaroni».

Pmi spina dorsale del Paese, portatrici «di valori non negoziabili», di vicinanza e contiguità con i territori, di solidità e mantenimento di produzione e ricchezza nel Paese.

NO ALLE BANCHE-SUPERMERCATI
Meno balzelli e più equità: questo chiedono gli imprenditori di Confartigianato, attraverso politiche finalizzate alla diffusione tecnologica (sì all’istituto pubblico speciale di credito indicato nel contratto di Governo) e al contenimento dei 55 miliardi di euro di arretrati vantati dalle imprese nei confronti della Pa («compensazione diretta universale tra debiti e crediti»). Attenzione anche alle banche, «che non siano supermercati dove vendere tutto tranne il credito, ma luoghi deputati ai crediti commerciali a beneficio delle piccole e medie imprese, il cui tasso di insolvenza è bassissimo». E, non ultimo, polso fermo nel confronto con un’Europa «alla quale chiedere di dismettere i panni del gendarme guidato dalle tecnocrazie finanziarie del Nord per indossare quelli del regista politico dell’Unione».

LO SPREAD FISCALE TRA IMPRESE: 18.6 MILIARDI DI EURO
Un’Europa alla quale guardare come esempio virtuoso per contenere l’immenso spread fiscale tra le aziende locali e quelle del resto del Continente (18.6 miliardi di euro il differenziale nazionale) e il peso della tassazione riversata nella bolletta elettrica delle Pmi, a beneficio dello sgravio concesso ai giganti energivori. «Ben venga, anche per questo, la Flat Tax, ma ben vengano pure la deducibilità totale dell’Imu sugli immobili strumentali e la riduzione di split payment e reverse charge». «Legittimo e moralmente doveroso l’adempimento tributario – la sintesi di Merletti – ma altrettanto doverosi devono essere il ritorno in servizi e l’attenzione allo sviluppo, al consumo e al contenimento del debito, che non dovranno venire soffocati dalla necessità di reperire risorse per sterilizzare le clausole di salvaguardia e il conseguente aumento dell’Iva». Riflessioni sul futuro.

Intanto non si dovrà abbassare l’attenzione sugli obiettivi indicati e, al contempo, il sostegno alle politiche di valorizzazione della formazione tecnica, professionale e degli Its, all’apprendistato e l’impegno da porre sull’adozione di politiche fiscali e contributive a sostegno degli strumenti del welfare aziendale.

LA FORZA DEL CAPITALE UMANO CONTRO I CLIC CHE LICENZIANO MIGLIAIA DI LAVORATORI
Ne va della spina dorsale dell’economia che resta in Italia ma sbanca il mondo con livelli di export (124 miliardi) mai così alti come nel 2017. E che, nel piccolo, custodisce un valore preziosissimo: quello del capitale umano, «che affonda le sue radici nell’impresa, nella famiglia, nelle comunità locali e che rende l’Italia un Paese forte e che fa paura, perché non si controlla con la finanza – ha scandito Merletti – e non si comanda con un clic con il quale si licenziano migliaia di lavoratori». Piccolo ma con la voglia di crescere, internazionalizzare, formarsi e puntare sui giovani.

GIULIO E UN FUTURO DI MANI E TESTA
L’ha detto, Merletti, a un bimbo che dal palco l’ha incalzato. «Giulio, metti nel tuo futuro la possibilità di fare un mestiere che ti farà combinare mani e testa. E ricorda: noi siamo la parte bella di una bellissima Italia, che cambia e si innova ogni giorno e crede nei giovani, nella loro energia, allegria e nella potenza di chi sa di poter guadagnare tutto dalla vita».

L’INTERVENTO COMPLETO DEL PRESIDENTE GIORGIO MERLETTI