Esserci o non esserci? Questo è il social. E per sfondare il segreto è la verità

di Davide Ielmini
La domanda che si farebbe oggi Amleto non è “essere o non essere?” ma “social o non social?”. Questo, in realtà, è il problema. Di facile soluzione. Di Facebook, Twitter, Instagram, Youtube alcuni potrebbero (forse) fare a meno, ma non si deve. Ed è fuori di dubbio che per guadagnarsi una seria reputazione su questi strumenti bisogna essere sé stessi. Nulla di più che presentare, a tutti, le proprie differenze. Rudy Bandiera è un blogger che disquisisce spesso e volentieri di social network. Il suo pane quotidiano è il post condito al tweet. Sarà anche per questo che il suo blog – RudyBandiera.com – è considerato tra i più influenti nel nostro Paese. Lo abbiamo intervistato partendo da qui: vita digitale e vita reale si possono fondere? Non si rischia di generare una doppia personalità?

«Questo è uno dei grandi problemi del mondo dei social. Tutti tendiamo a costruire un’immagine di noi stessi – individui e aziende – che potrebbe non coincidere con la realtà. Un’impresa potrebbe inventarsi, per esempio, che i suoi prodotti sono i migliori, la sua storia è unica, fa cose strabilianti: e se poi non è così? Costruire il personaggio è la prima cosa che dobbiamo fare (d’altronde digitalizziamo la nostra immagine per questo) ma deve riflettere il più possibile ciò che siamo. Differenziarsi dagli altri consiste in questo: la differenza è essere sé stessi. Se al mondo ci sono sette miliardi di persone, e tutte sono diverse, si può uscire dai cliché solo raccontando le nostre differenze».

Sui social l’obiettivo è quello di crearsi una reputazione, generare fiducia negli altri e poi puntare al business. Regole comuni non ci sono?
In realtà si punta solo al business, perché tutti restiamo sui social per questo. Vero, non ci sono regole comuni precise però esistono macroregole comuni. Pensiamo ancora alle imprese: vanno sui social, postano la loro offerta commerciale, nessuno compra. Scatta la risposta di pancia: ho buttato solo dei soldi. Non è così. Piuttosto bisognerebbe pensare a come cambiare l’approccio ai social, perché il web è prima di tutto un luogo di relazione e poi un mercato. Ecco perché è importante che gli altri si fidino di noi. Prima la fiducia e poi il business: le due cose sono legate. Conversione diretta (la vendita) e attività di branding funzionano bene solo se abbinate.

Quanto è importante presentare bene i propri prodotti?
Diciamo che io vendo aspirapolveri: posto la foto del prodotto, lo pubblicizzo sottolineando la sua capacità di aspirazione (supera tutti gli altri), incito all’acquisto. Nessuno lo comprerà mai perché l’offerta commerciale la si trova sui volantini o su siti come Subito.it. Se invece lo presento come aspirapolvere senza fili, mio figlio che ha 5 anni si divere ad usarlo perché leggero, silenzioso, soprattutto è sicuro allora otterrò un altro risultato. In quel momento umanizzo il prodotto e alla gente piace.

Immagini di avere fronte un imprenditore: ha provato con i social, non ha ottenuto i risultati sperati e così ritorna al passaparola dei tempi passati.  E’ sbagliato?
D’accordo, ma il “passaparola” oggi dove si fa? Sui social, e si chiama marketing. I concetti sono gli stessi; gli strumenti cambiano. Un esempio sulla vendita di autovetture: dieci anni fa la media di concessionarie che venivano frequentate da chi avrebbe voluto acquistare una macchina era 10; oggi la media è 3,4. Perché? Le persone sono online. Io ci posso credere, o meno, ma è un dato di fatto. Una persona su 3 di chi va in banca per acquistare prodotti finanziari sanno già cosa vogliono: si sono informati online. Poi, magari, si sono informati male però sanno che quella cosa esiste.

Muoversi in un mondo nuovo non è facile: gli imprenditori cosa possono fare?
Una sola parola: formazione. Devono studiare, imparare, capire come vanno le cose e perché vanno in questo modo. Dopo aver acquisito alcune conoscenze specifiche, allora l’imprenditore potrà scegliere se affidarsi ad un esperto di social, e valutare se è un esperto.

Per un’impresa agganciare una persona influente per il suo settore non è difficile?
Diciamo che non è facile. Oggi però ci son dei tool che permettono di fare attività di crawling e individuare per il nostro settore le persone che sono più influenti. Nel B2C i risultati sono più diretti, mentre nel B2B è diverso. Pensiamo ad un’azienda che lavora nella meccanica: su Facebook non dovrà mostrare i suoi pezzi ma il “dietro le quinte” che le ha permesso di arrivare ad oggi. Questo serve a catturare imprese e nuovi clienti. Si tratta di un’attività di puro branding, tanto importante quanto l’attività di vendita.

Usare in modo divertente e fattivo i social può aiutare il business?
I social sono un luogo di relazione. Un altro esempio: entro in un bar, dico a tutti che sono stupidi e decanto la Divina Commedia di Alighieri. Sono colto, vero, ma anche un po’ scemo. Sui social bisogna affrontare tanti argomenti diversi ma con toni leggeri. Esseri seri, non seriosi, e mai superficiali.

E si deve condividere tanto ma non tutto?
E’ così. Dobbiamo capire cosa vogliamo rappresentare, agli altri, nel contesto socio-economico nel quale viviamo. Cosa vogliamo che gli altri vedano nel nostro logo? Dove vogliamo arrivare? La nostra comunicazione sarà la conseguenza delle nostre strategie. E non sempre dobbiamo comunicare sempre qualcosa di nuovo. Anzi, la novità va di pari passo con quello che è utile.

In che senso?
È umanamente impossibile essere sempre innovativi, però bisogna essere costanti e utili. Raccontare qualcosa di nuovo che arriva da altri mercati e far valere le esperienze raccolte nel rapporto con altri clienti serve. Ed è questo che conta.